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Tratto da "Sulle Ali di Angela" di Mauro Li vigni

 

Regia Monica Cavatoi

 

Con Manuela Ventura

 

Disegno Luci Antonio Giunta

 

Video Nunzio Gringeri e Benedetta Valabrega

 

Costumi Ricchezza Falcone

 

Produzione Mauro Li Vigni

 

Organizzazione Deva Culture

ANGELA!

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Angela!

 

Atto Unico

Durata: 50 min. 

Questo è il dolore della vita: che si può essere felici solo in due e i nostri cuori rispondono a stelle che non voglion saperne di noi.

 

Angela! debutta il 12 marzo 2015 al Teatro Garibaldi di Palermo, in apertura di stagione, direzione artistica Matteo Bavera.

Il libro da cui lo spettacolo prende vita racconta – ispirato ad un fatto di cronaca dei giorni nostri, tragicamente attuale – la storia di una madre che decide di uccidere la figlia autistica e se stessa  poiché non riesce a sopportare il peso della solitudine causata dalla malattia della bambina e dal conseguente abbandono da parte del marito.

 

"Il racconto di Serafina - Se-ra-fi-na, scandisce così il suo nome quando racconta la propria venuta al mondo - è un'immagine che si realizza, un paesaggio che si auto-avvera , una leggenda, un filo che si srotola. Lei Serafina, Se-ra-fi-na, è il proprio destino, parca, questa volta inconsapevole, che tesse l’intreccio della propria vita, ma che nei fili della propria esistenza ci si impiglia alla ricerca dell’inarrivabile felicità. Serafina come una farfalla che al contrario diventa baco, racconta la sua storia che è la storia di Angela, che è la voce di Angela; in fondo due personaggi paralleli e prigionieri di due clausure differenti, l’una di natura l’altra di cultura. Serafina è una madre che cresce velocemente sotto il suo stesso racconto e che alterna felicità e dolore al ritmo della vita, laddove sempre questi due lati della medaglia si fondono e si confondono.  

Le scelte registiche risultano brillanti, la performance dell’attrice, Manuela Ventura, magistrale e accorata; uno spettacolo intenso da ascoltare e osservare, con attenzione ad entrambi i verbi che qui si completano per un'esperienza incrociata all'interno di un'estetica teatrale minima eppure intensissima”. Francesco Anzelmo per Prismanews

 

 

 

 

 

 

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"Ti confronti con parole che vanno aperte e dalle quali trarre fuori altro oltre alle sillabe, al significato; apri capitoli che necessitano di un ritmo diverso, di un volume diverso, un silenzio, una sospensione.  Uno spazio che si definisce man mano e che contribuisci a creare tu stesso, un filo dopo l’altro, un piccolo avanzamento, un rosso sempre più esteso… un reticolo che impedisce ma che contemporaneamente crea. Lavori col limite: prima non c’è nulla, poi, ciò che si costruisce ostruisce… ma da qui, da questa tessitura (in fondo anche il testo è textus/tessuto) nascono le possibilità, le occasioni, le scelte… ognuno fa le sue: il personaggio, 

l’attore, il regista, il testo, il pubblico… e il bello è non sapere mai, prima, dove si incontreranno.”  Manuela Ventura

SCHEDA ARTISTICA

 

 

Angela! trae spunto da un racconto breve in forma epistolare, “Sulle ali di Angela”, scritto nel 2014 da Mauro Li Vigni ed edito da Ask-Y Factory Books Parigi. 

Lo spettacolo ha debuttato presso il Teatro Garibaldi di Palermo il 12 marzo 2015, in apertura di stagione, direzione artistica Matteo Bavera, ricevendo un enorme successo di pubblico e ampia risonanza da parte dei media. 

 

La storia

Serafina (Se-ra-fi-na: la protagonista di “Angela!”, così scandisce – nella scrittura scenica - il suo nome per parlare di sé, fin dalla sua nascita) è una giovane donna di un quartiere popolare di Palermo, moglie di Saro, l'uomo che ama da sempre. I due si sposano presto e senza nessun invitato. Subito nasce Giovannino. Poco dopo, Saro chiede alla moglie un secondo figlio. Lei non è d'accordo perché i mezzi economici sono scarsi; ma lui insiste e infine viene al mondo una bambina che chiameranno Angela. Ben presto Saro si accorge che la bambina è “babba”, stupida. Serafina nega, ma dopo qualche anno, portandola da specialisti, in una lunga odissea tra ospedali e medici, da sola, apprende che la bambina è autistica e che quindi vivrà per sempre in un mondo tutto suo, distante. 

 

Lo spettacolo

Serafina si muove dentro una scenografia quadrata, essenziale, contemporanea, pregna di simbologie, di rimandi letterari ed estetici. Serafina tesse dentro uno spazio che è ri-creazione del mondo, stende fili, li intreccia, li annoda, come Penelope che attende il suo Ulisse (e Serafina attende il ritorno – o la comparsa – di Angela, perciò la chiama e la (ri)chiama, quasi la supplica, quasi la sgrida) o, di più, come un ragno, il ragno della complessa e atavica immaginazione umana: il ragno mitologico, il ragno simbolo ambivalente, il ragno creatore e il ragno che procura una morte immediata, con un suo morso; il ragno che tesse secondo precisi comportamenti genetici e che, benché in grado di tessere tele complesse, di fronte a qualcosa di inaspettato è incapace di effettuare anche la più  piccola riparazione.

Serafina ci prova a riparare: vorrebbe, disperatamente. E' per questo che chiama insistentemente 

Angela, chiama la sua anima, con amore, con enfasi, con timore, con rabbia. Ci prova, disperatamente. E' per questo che ricrea in scena dei movimenti interrotti, spezzati, quasi inconclusi e statici, eppure rituali, una preghiera del corpo con le braccia che si agitano tra i fili come per chiamare a sé qualcosa. E mentre la voce di Serafina esce, e anche le parole escono, incolte e impaurite, il suo corpo fragile pone le sue domande, le contorsioni delle braccia e del corpo, ripetute, sono un riverbero, un'eco, un richiamo di aiuto, quasi un'interlocuzione, l'iterazione autistica di una richiesta di attenzione.

Serafina ci prova ancora a mettersi in contatto con la figlia, parlandoci della sua vita che diventa solitudine, della farfalla che torna a essere bozzolo, del suo percorso a ritroso, della sua involuzione verso il silenzio. Serafina si pone in un alveo parallelo a quello della figlia, perché sa che la sua solitudine la avvicina ad Angela. Ma, al contrario di Angela che vive in un mondo suo, distante, Serafina vuole essere integralmente, tutta, voce storia immaginazione mito corpo donna, tutta nella scena, tutta “nell'uomo”, tutta nella terra, tutta nel pubblico che la guarderà, tutta nell'abbandono, tutta intera nella sua irrevocabile solitudine. Serafina, dentro il suo mondo quadrato, ad un certo momento, mima una scena, sdoppiandosi, inventandosi un dialogo che certo deve essere avvenuto, ma non lì, non in quello spazio, che è sacro perché lei sta vivendo insieme alla sua narrazione, vive-mentre-narra. Si assiste, pertanto, a una sorta di corto-circuito spazio temporale, dove il ring non è più lo spazio della storia, ma il concreto stesso ricordo di Serafina: lo spettatore si trova dentro un suo ricordo: una piazzetta assolata di fine estate, quando lei, ancora piena di speranze e di felicità, giocava a schermirsi da un giovane corteggiatore. E come nel mito sono numerose le metafore legate alla tessitura e a coloro che tessono, da Aracne ad Arianna, da Ananké alle Parche, che suggeriscono la creazione e la distruzione di legami, l'intreccio di un racconto, oltre alle tante metafore linguistiche: tirare le fila, il filo della memoria, spezzare il filo del ragionamento, filo di speranza, spiegare, dispiegare... così, paradossalmente, SE-RA-FI-NA (lei stessa addirittura nel pronunciare il proprio nome non lo dispiega ma lo spezza), donna ignorante, è generatrice di una creatura imperfetta, parafrasi di una dea creatrice, mito terreno e tangibile che regge quel filo, nel bene e nel male, nella prigionia della vita e nella libertà profonda  che le consente di scegliere la morte: perché è lì che lei vede la libertà/liberazione, per sé, per la sua bambina; e per Giovannino, che dovrà crescere da solo ma senza la zavorra di una sorella gravemente malata.

O forse no, non è un'emancipazione, ma solo una risposta all'amatissimo marito, un comportamento opposto o parallelo, chissà; o una vendetta, come lo è per Medea. In ogni caso, ognuno cerca la libertà come vuole.

 

 

 

NOTE DI REGIA

 

Angela! rappresenta un esperimento semiotico, drammaturgico e registico a tutto tondo: come dare vita scenica ad un testo che non segue né risponde ad alcuna legge teatrale? Cosa accade quando un testo dichiaratamente narrativo e realistico incontra e si scontra con una scena, al contrario, volutamente poetica, astorica e atemporale?

La scrittura scenica di “Angela!” lavora sugli opposti, sui contrasti, sul cortocircuito di stili, accostando la verbalità realistica e incolta del personaggio di Serafina a una drammaturgia poetica e astorica che soltanto lo spazio della esperienza scenica può donarle.

Si decide – scelta inconsueta in teatro – di eliminare la sineddoche e la metonimia, per lavorare, invece, in maniera decisa, sull'assenza di oggetti, sull'assenza di rimandi: metafora fisica di una esistenza che sta mostrando e contemporaneamente facendo, di una vita che è contemporaneamente presenza assenza. Così, grazie alla giustapposizione di sistemi segnici differenti tutti volti a rendere universale e decontestualizzato il personaggio Serafina, si è proceduto ad evocare un’esistenza vera dentro uno spazio scenico fortemente simbolizzante e metaforizzante.

Un quadrato sospeso in aria, fatto di corda scenica, è la tana di Serafina, al cui interno centinaia di 

metri di filo rosso di lycra verranno da lei toccati, srotolati, attorcigliati, annodati, ogni volta per creare mondi e situazioni diversi che la accompagnano entro le varie tappe della sua esistenza. E cosi, grazie ad un tessuto scenico che funge da portale nel tempo e nello spazio, mentre racconta, Serafina ri-vive.

La macchina scenica che muove “Angela!” è un ingranaggio che funziona poiché tutti gli elementi,  nello scontro, dialogano tra loro. Si sperimenta una struttura minimalissima ed essenziale, che, eppure, come per magia, diventa densità barocca, diventa vita che accade sotto gli occhi commossi, disarmati, complici, divertiti, tristi dello spettatore. 

 

Video

Lo spettacolo inizia e si conclude con gli ultimi addii di Serafina al figlio, immagini in movimento simboliche, oniriche: si vedono tessiture, stoffe, colori, interferenze, dolore, solitudini, Serafina in momenti di vita davvero vissuta e poi, invece, di vita desiderata, che ormai non potranno essere più vissuti, perché è già troppo tardi: soltanto il breve attimo di esistenza sulla scena, e poi la luce sarà spenta. 

 

Luci e scene

Il disegno luci agisce entro gli stati d'animo di Serafina in un quadro scenico disegnato e riempito con atmosfere di luce il cui inizio e la cui fine coincidono. L'attrice-personaggio vive entro un ring e sta tessendo eppure, in un attimo, grazie al cambio luci, la accompagniamo nei luoghi della sua storia: la vediamo nella piazza del suo quartiere, subito dopo in una stanza da letto intima e cupa, e dopo ancora sulla riva di un mare quieto, poi entro un corteo nuziale, dove Serafina, da sola, attraversa un corridoio bianco e cerca alla sua sinistra, però non trovandolo, il volto del marito - l'altra metà della foto spezzata. Subito dopo una luce gelida ci immerge nella disperazione medicalizzata della presa di coscienza: “Sua figlia è autistica”. Tutta questa densità di luoghi e ricordi avvengono in scena pur senza fotografie, stanze, porte, fiori nuziali: in scena soltanto il filo rosso, Serafina nel ring, le luci, i silenzi, i suoni, le musiche.

 

Trama sonora

Il tessuto sonoro è anch'esso, come la tela rossa che alla fine Serafina completa seppure a fatica, una trama che riempie il racconto e che non lascia mai la parola come unico suono in eco nello spazio.  All'inizio una melodia in loop, proveniente chissà da quale epoca, ci introduce in un mondo da sogno, da fiaba, da filastrocca ripetuta con amore ad una figlia. Ecco che Serafina bambina ricorda, dunque si presenta al mondo. Il suono si fa canzonetta di fine estate proveniente da un juke box, si fa marcia nuziale solenne e dolcissima, ascoltata forse mentre le strade di Palermo risuonano dell'ultima opera lirica pubblicizzata, si fa ossessione, pensiero frammentato, si fa disperazione, con l'abbandono dell'amore e il non saper affrontare una malattia insopportabile. Si fa, infine, catarsi e liberazione.

 

Attorialità

La recitazione dell'attrice, Manuela Ventura, denota un eccezionale lavoro attoriale che presentifica il farsi vita e scena di Serafina, in un gioco di contrasti stilistici. Se da un lato la verbalità della donna ci restituisce la sensazione del quotidiano - un quotidiano raccontato tramite parole spezzate, locuzioni, lessico e sintassi della lingua siciliana non stilizzata - dall'altro l'attrice è tutta corpo e tutto spazio, sempre entro l'azione: pensiero, gesto e voce coincidono, anche se in realtà il gioco è per contrasti. Se il registro lessicale è narrativo-realistico, il corpo segue traiettorie aeree, orizzontali e verticali, e tutto ciò che fa è reale e non realistico, preciso e minimale. Ogni filo che tocca prende vita, ogni respiro una trasposizione temporale nel suo passato. 

 

 

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SCENA

 

- perimetro larghezza profondità sul palcoscenico 4m x 4m: 4 corde verticali fissate agli angoli da 

 

graticcio a palcoscenico + 4 corde legate orizzontalmente a quelle verticali (altezza corde 

 

orizzontali: 1m,20cm dal palcoscenico)

 

LUCI

 

- 1 mixer luci

 

- 13 pc da 1000/1200

 

- 4 sagomatori 750/1200 zoom o grandangolo

 

- 2 diffusori asimmetrici (domino) da 1000

 

AUDIO

 

- 2 casse audio amplificate

 

- 1 mixer audio (cavi rca per 2 pc + lettore cd)

 

- 1 lettore cd

 

VIDEO

 

- 1 videoproiettore + telo proiezione (connessione hdmi o vga)

 

- 1 lettore dvd

 

 

 

 

 

 

 

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